Le proteste contro il regime iraniano nel mondo dello sport

Ormai da diverse settimane imperversano in Iran le proteste successive alla morte della ventiduenne Mahsa Amini, con migliaia di cittadini che scendono in strada per protestare contro il regime iraniano e l’imposizione dell’uso del velo per le donne. Il mondo dello sport, complice la risonanza che ha a livello mondiale, non si è di certo tirato indietro nel mostrare solidarietà ai cittadini e soprattutto alle cittadine del Paese, e sono stati molti i gesti simbolici che sono stati fatti negli ultimi tempi.

Una protesta certamente pacifica quella degli atleti iraniani, ma che non è passata inosservata, e ha scatenato anche dei grandi casi mediatici, come quello che ha coinvolto l’arrampicatrice Elnaz Rekabi, che in una gara in Corea del Sud ha gareggiato senza indossare il velo, salvo poi far preoccupare familiari ed amici per essere “scomparsa” senza rispondere al telefono e nei social media, per poi riapparire con una storia Instagram in cui si scusava per l’assenza e imputava il fatto di non aver indossato il velo ad un errore tecnico.

Tutte le proteste contro il velo in Iran

Nonostante i gesti di solidarietà verso i cittadini iraniani provengano da tutto il mondo, spesso anche gli stessi atleti del Paese hanno avuto modo di protestare contro il regime della loro madrepatria, come è successo nel caso della nazionale di pallanuoto, che prima della partita contro l’India ai Giochi asiatici in Thailandia si è rifiutata di cantare l’inno, gesto che è stato portato avanti anche dagli atleti di beach soccer, che inoltre hanno accompagnato la loro vittoria contro il Brasile dal gesto simbolo di questa protesta, ovvero hanno mimato il gesto di tagliare una ciocca di capelli.

La pattinatrice Niloufar Mardani, inoltre, è salita sul podio ad Istanbul a capo scoperto, ed indossando una maglia nera con su scritto il nome del suo Paese, gesto che il regime iraniano ha subito bollato come non autorizzato, così come le emittenti del Paese hanno immediatamente interrotto la cerimonia del podio di beach soccer, impedendo la messa in onda del simbolico taglio di capelli.

Anche il mondo del calcio, alla vigilia dei Mondiali in Qatar, per i quali si vociferava l’esclusione dell’Iran, ha contribuito all’ondata di proteste nel mondo dello sport, in particolare durante un’amichevole con il Senegal che si è svolta a fine settembre in Austria, durante la quale i giocatori hanno indossato delle giacche nere a coprire i colori della propria maglia. In questo caso, ad esporsi in prima persona è stato l’attaccante del Bayern Leverkusen Sardar Azmoun, che in una storia di Instagram ha dichiarato di non poter più tacere, e che se per questo gesto verrà estromesso dalla squadra, sarà un sacrificio che è pronto a compiere per le oppressioni a cui sono costrette le sue connazionali.

In realtà, Azmoun partirà per il Qatar insieme alla nazionale iraniana, insieme all’altro “ribelle” Mehdi Taremi, ed è anche stato costretto a cancellare il post Instagram con il quale dichiarava il suo sostegno alle proteste, dopo che lui e i suoi compagni di squadra sono stati bersagliati da insulti e minacce da parte della frangia ultraconservatrice del Paese.

Il caso di Elnaz Rekabi

Fra tutti i gesti di solidarietà alle donne iraniane nel mondo dello sport, a destare più scalpore è stato quello di Elnaz Rekabi, arrampicatrice che ai campionati asiatici di Seoul aveva gareggiato senza velo, salvo poi essere risultata irraggiungibile sia telefonicamente che sui social media per diverse ore, facendo preoccupare tutto il mondo. Alla fine, l’arrampicatrice era ricomparsa su Instagram pubblicando un post in cui si scusava per l’assenza e dichiarando che il velo le era caduto durante la gara per errore, non avendo fatto in tempo a fissarlo in modo corretto a causa di un cambio di turno nella gara.

Al momento, si può dedurre dalle fonti iraniane che Elnaz Rekabi si trovi agli arresti domiciliari a Teheran, ma che ci siano state forti pressioni nei confronti dell’atleta perché affermasse l’estraneità del gesto con le proteste che infiammano il Paese, e che gli arresti domiciliari siano una misura preventiva in attesa di una “confessione completa”, minacciandola di sequestrare i beni della sua famiglia.

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