A cavallo tra sport e attualità, negli ultimi giorni a tenere banco è il caso dell’atleta iraniana Elnaz Rekabi, che pochi giorni fa si era resa protagonista di un gesto che è sembrato in linea con le proteste che da più di tre settimane continuano nel suo Paese dopo la morte della ventiduenne Mahsa Amini, colpevole secondo le autorità di non aver indossato correttamente l’hijab, e deceduta poco tempo dopo in carcere.
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Elnaz Rekabi aveva partecipato ad una gara di arrampicata sportiva dei campionati asiatici della disciplina, nella capitale coreana Seoul, senza indossare il velo, che le atlete iraniane sono obbligate ad indossare anche mentre partecipano ad una competizione sportiva. Se questo gesto è sembrato per l’appunto in linea con il messaggio che molte sue connazionali stanno dando in patria, dopo l’accaduto le notizie a riguardo sono state piuttosto contrastanti, e nelle prossime righe cercheremo di fare chiarezza sugli eventi.
La gara e la scomparsa di Elnaz Rekabi
Che si sia trattato di un gesto voluto o meno rimane ancora da chiarire, ma fatto sta che la scorsa domenica l’arrampicatrice Elnaz Rekabi ha gareggiato a Seoul senza indossare il velo, ma solamente con una fascia sulla fronte a liberarle il viso dai lunghi capelli raccolti all’indietro. Se immediatamente le immagini di quest’atleta hanno fatto il giro del mondo, e il suo gesto è stato definito di portata storica, è stata la stessa Rekabi a sminuirlo, dicendo che si è trattato di un imprevisto dovuto all’organizzazione dell’evento, in cui il suo turno era arrivato prima che il velo fosse pronto.
Il giorno successivo alla gara, quando l’atleta sarebbe dovuta rientrare in patria insieme al resto della squadra, familiari e amici non hanno avuto notizie della donna, che non rispondeva né al telefono né sul suo profilo Instagram. Una fonte anonima pare aver riferito al canale BBC Farsi di una scomparsa sospetta di Rekabi, a cui sarebbero stati sottratti passaporto e telefono in circostanze poco chiare.
Secondo IranWire, sito gestito da dissidenti iraniani, l’atleta sarebbe stata condotta all’ambasciata del Paese in Corea, su consiglio sia del responsabile della federazione iraniana di arrampicata, sia del capo del comitato olimpico iraniano. A questo punto, viene scritto che la donna sarebbe stata informata dell’arresto del fratello in patria, e convinta a consegnare passaporto e telefono con la promessa della scarcerazione del fratello e di essere ricondotta in Iran in sicurezza.
A smentire queste notizie, però, arriva un comunicato ufficiale della stessa ambasciata iraniana in Corea, nel quale i funzionari negano qualsiasi fake news riguardante la scomparsa di Rekabi, che a loro dire avrebbe lasciato la Corea insieme al resto della squadra la mattina di martedì 18 ottobre.
Lo stesso portale IranWire preannuncia poi un destino quantomeno preoccupante per l’atleta, che dichiarano verrà condotta dalla Corea direttamente nella prigione di Evin a Teheran, dove sono detenuti oppositori politici, giornalisti, e cittadini stranieri, e che pochi giorni fa è stato teatro di un terribile incendio in cui hanno perso la vita otto persone.
Il post su Instagram e le scuse
Nonostante nel giro di poche ore si sia assistito ad un circolare di notizie contrastanti, a chiarire la situazione una volta per tutte ci pensa la stessa Elnaz Rekabi, che riappare sui social pubblicando una storia Instagram in farsi, dove si scusa sia per aver fatto preoccupare familiari e amici non rispondendo al telefono, sia di non aver indossato il velo durante la gara della scorsa domenica, imputando il fatto ad un cattivo tempismo che ha fatto sì che il copricapo non fosse ancora fissato a dovere quando è arrivato il turno di gara della donna, che lo ha così perso inavvertitamente mentre arrampicava.
Nella stessa storia, inoltre, specifica anche di essere diretta verso casa insieme al resto della squadra, che dunque avrebbe lasciato Seoul la mattina del 18 ottobre, con un giorno di anticipo rispetto al programma prestabilito. Fa certamente piacere dunque rivedere online Elzan Rekabi, ma l’opinione pubblica internazionale continua ad interrogarsi sulla sincerità della sua ultima storia, chiedendosi se il fatto di gareggiare senza hijab sia stato effettivamente un incidente dovuto ad una cattiva organizzazione oppure un gesto deliberato, sminuito poi su pressioni esterne.